Ricorso del Presidente del Consiglio dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i
cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 -  fax
06 - 96514000 - PEC ags_m2@mailcert.avvocaturastato.it; 
    Contro la Regione Toscana in persona del Presidente  pro  tempore
per la declaratoria dell'illegittimita'  costituzionale  della  legge
della Regione Toscana 10 novembre 2014, n. 65 pubblicata  nel  B.U.R.
n. 53 del  12  novembre  2014  recante  «Norme  per  il  governo  del
territorio». 
    La proposizione del presente  ricorso  e'  stata  deliberata  dal
Consiglio dei Ministri  nella  seduta  del  24  dicembre  2014  e  si
depositano, a tal fine, estratto conforme del verbale e relazione del
Ministro proponente. 
    La legge regionale n. 65/2014 che consta di 256 articoli,  e  due
allegati  presenta  profili  di  illegittimita'   costituzionale   in
riferimento agli articoli 25, 26, 27, 207 e 208 per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
    1) Violazione dell'art. 117, comma 1 e art. 117, comma 2, lettera
e) Costituzione, in relazione agli artt. 25,  26  e  27  della  legge
regionale Toscana 10 novembre 2014 n. 65. 
    Gli articoli 25,  26  e  27,  che  riguardano  l'approvazione  di
previsioni urbanistiche in materia di medie  e  grandi  strutture  di
vendita, riproducono meccanismi di tutela degli esercizi di  vicinato
che costituiscono un ostacolo effettivo alla libera concorrenza della
regione Toscana e pertanto, ponendosi in contrasto con  le  norme  di
liberalizzazione contenute negli articoli 31 del d.l. n.  201/2011  e
nell'articolo 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012, violano l'articolo 117,
comma 2, lettera e) della Costituzione. 
    In particolare, le disposizioni citate prevedono il ricorso  alla
conferenza di copianificazione, nell'ambito della  pianificazione  di
nuovi impegni di suolo esterni al perimetro urbanizzato (art. 25),  e
per l'approvazione delle previsioni «  ...di  aggregazioni  di  medie
strutture di vendita  aventi  effetti  assimilabili  a  quelli  delle
grandi strutture» (art. 26, comma 1, lett. a) e b). 
    L'articolo 27 chiarisce che «le previsioni di medie strutture  di
vendita che comportano impegno di suolo non edificato al di fuori del
perimetro del territorio urbanizzato sono soggette alla conferenza di
copianificazione qualora risultino: a) non inferiori a  2.000  mq  di
superficie di vendita per i comuni di cui all'articolo 15,  comma  1,
lettera e) numero 2) della legge regionale n. 28  del  2005;  b)  non
inferiori a 1.000 mq di superficie di vendita per i comuni diversi da
quelli di cui all'articolo 15, comma 1, lettera e) numero 2)». 
    La  conferenza  di  copianificazione  verifica  dette  previsioni
tenendo conto,  di:  «a)  la  capacita'  di  assorbimento,  da  parte
dell'infrastrutturazione  stradale   e   ferroviaria   presente   nel
territorio  del  comune  e  in  quello   dell'ambito   di   interesse
sovracomunale, del carico di  utenze  potenziali  connesso  al  nuovo
esercizio;  b)  il  livello  di  emissioni  inquinanti,   comprensivo
dell'incremento dovuto alla  movimentazione  veicolare  attesa  dalla
nuova struttura di vendita; c) la sostenibilita' rispetto alla tutela
del valore paesaggistico dei siti inseriti nella lista del patrimonio
mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la
scienza e la cultura (UNESCO) (...); d) le conseguenze  attese  sulla
permanenza degli esercizi commerciali  di  prossimita',  al  fine  di
garantire i servizi essenziali nelle aree piu' scarsamente  popolate;
e) le conseguenze attese sui caratteri specifici  e  sulle  attivita'
presenti nei centri storici compresi nell'ambito sovracomunale, e  le
necessarie  garanzie  di  permanenza  delle   attivita'   commerciali
d'interesse storico, di tradizione e di tipicita'»  (art.  26,  comma
2). 
    In base al comma 5 dell'articolo 25, all'esito di questa verifica
la conferenza di copianificazione «indica  gli  eventuali  interventi
compensativi degli effetti introdotti sul territorio». 
    Tali  disposizioni,  pur  se  relative  a  motivazioni  di   tipo
urbanistico, aggravano il procedimento autorizzatorio  per  le  medie
strutture  di  vendita  in  forma  aggregata,  anche  attraverso   la
previsione di interventi compensativi, creando,  di  fatto  ulteriori
tipologie di strutture commerciali. 
    Attraverso le disposizioni citate, la Regione Toscana tutela  gli
esercizi di vicinato con sistemi che la  Commissione  europea  ha,  a
piu' riprese, chiesto di  sostituire  con  strumenti  alternativi  di
qualificazione dei centri urbani o delle aree a  scarsa  densita'  di
popolazione. Analoghi profili di illegittimita'  costituzionale  sono
stati recentemente riscontrati con riferimento all'articolo 20  della
legge regionale n. 52 del 2012, ritenute in contrasto con le norme di
liberalizzazione contenute nel d.l.  n.  201/2011  e  poi  dichiarato
incostituzionale con sentenza n. 165/2014. 
    La disciplina introdotta dalle disposizioni impugnate non  e'  in
linea con quanto affermato nella sentenza n. 165/2014: l'introduzione
di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla  legislazione
vigente  in  considerazione  delle  dimensioni  e   della   tipologia
dell'esercizio commerciale rappresentano un ostacolo  effettivo  alla
libera concorrenza della regione Toscana, sotto un  duplice  profilo,
regionale e intra-regionale. 
    Nel caso  di  specie,  dette  restrizioni  derivano  anche  dalla
distanza tra le  varie  strutture  di  vendita  come  e'  insito  dal
richiamo al concetto di «aggregazione». Si tratta di restrizioni  che
non  sono  adeguate  ne'  proporzionate   rispetto   alle   finalita'
perseguite, che si pongono in contrasto con la direttiva 2006/123  CE
e con l'art.  31,  comma  2,  del  d.l.  n.  201/2011.  Pertanto,  le
disposizioni censurate, oltre a contrastare con l'art. 117, comma  1,
della  Costituzione,  invadono  la  potesta'  legislativa   esclusiva
statale in materia di  tutela  della  concorrenza  e  quindi  violano
l'articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. 
    2) Violazione dell'art. 117, comma 2,  lettera  s)  e  art.  117,
comma 3 - governo del territorio - della  Costituzione  in  relazione
agli artt. 207 e 208 della legge regionale Toscana 10  novembre  2014
n. 65. 
    Gli articoli 207 e 208 si pongono in contrasto con  la  normativa
statale di principio contenuta nella Parte I, Titolo IV,  del  D.P.R.
n. 380/2001 (Testo unico dell'edilizia), e quindi violano  l'articolo
117, comma  3,  della  Costituzione,  con  riferimento  alla  materia
«governo del territorio». Inoltre, incidendo sul sistema di  sanzioni
civili e penali previste  dal  medesimo  Testo  unico  dell'edilizia,
invadono la potesta'  legislativa  esclusiva  statale  nella  materia
«ordinamento civile e penale» e dunque violano l'art.  117,  comma  2
lettera s) della Costituzione. 
    In particolare si osserva: 
        2.1.) L'articolo  207  («Sanzioni  per  opere  ed  interventi
edilizi abusivi anteriori al 1° settembre 1967») prevede, al comma 1,
che «con riferimento alle opere ed  interventi  edilizi  eseguiti  ed
ultimati in data anteriore al 1° settembre 1967  ...  in  assenza  di
titolo abilitativo o in difformita' dal medesimo, ricadenti all'epoca
all'interno della perimetrazione dei centri abitati, il comune valuta
prioritariamente la sussistenza dell'interesse pubblico al ripristino
della legalita' urbanistica violata mediante rimessione in  pristino.
Qualora il comune valuti che  tale  interesse  sussista,  applica,  a
seconda dei casi, le sanzioni di cui agli articoli 196,  199,  200  e
206». Al comma 2, la disposizione disciplina l'ipotesi in cui, per le
opere  edilizie  di  cui  al  comma  1,  il  comune  non  ravvisi  la
sussistenza dell'interesse pubblico alla rimessione in  pristino.  La
lettera a) del comma 1 prevede che, per le opere in contrasto con gli
strumenti urbanistici  comunali,  il  comune  applichi  una  sanzione
pecuniaria, oltre ai contributi disciplinati dal Capo  I  del  Titolo
VII.  Per  le  opere  e  gli  interventi  conformi   agli   strumenti
urbanistici comunali, oltre ai suddetti contributi,  si  applica  una
sanzione amministrativa pecuniaria non  superiore  ad  euro  500.  Il
comma 3 prevede che «La corresponsione delle somme di cui al comma  2
non determina la legittimazione dell'abuso». 
    Al  comma  4  la  norma  disciplina  l'ipotesi  degli  interventi
eseguiti in data anteriore al 1° settembre 1967, in assenza di titolo
abilitativo  o  in  difformita'  dal  medesimo,   qualora   ricadenti
all'epoca della realizzazione  dell'abuso  al  di  fuori  del  centro
abitato. Detti interventi «sono da considerarsi consistenze legittime
dal punto di vista urbanistico-edilizio».  Infine,  il  comma  7  del
medesimo  articolo  207  prevede  che  «Il   piano   operativo   puo'
assoggettare a specifica disciplina le consistenze  edilizie  oggetto
delle sanzioni di cui al comma 2. In assenza di specifica  disciplina
su  tali  consistenze  non  sono  consentiti  interventi  comportanti
demolizione e  ricostruzione,  mutamento  della  destinazione  d'uso,
aumento del numero delle unita' immobiliari, incremento di superficie
utile di volume». 
    La disposizione impugnata  si  appalesa  sotto  piu'  aspetti  in
contrasto con la normativa statale di principio in materia di governo
del territorio e di ordinamento penale,  in  quanto,  per  gli  abusi
edilizi realizzati in data anteriore al  1°  settembre  1967,  limita
l'applicazione delle sanzioni previste dagli articoli 196, 199, 200 e
206 della  l.r.  n.  65/2014  agli  interventi  «ricadenti  all'epoca
all'interno dei centri abitati» e per  i  quali  il  comune  «ritenga
prioritariamente la sussistenza dell'interesse pubblico al ripristino
della legalita' violata mediante rimessione in pristino». 
    Dal combinato disposto dei commi 1, 2, 4 e 7, infatti, si  evince
che dette sanzioni non trovano applicazione  neppure  per  interventi
abusivi realizzati fuori dai centri abitati (che anzi  sono  definiti
consistenze  «da  considerarsi   legittime   dal   punto   di   vista
urbanistico-edilizio»). Cio' in palese contrasto con gli articoli  27
(«Vigilanza sull'attivita'  urbanistico  edilizia»);  31  «Interventi
eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformita' o
con  variazioni  essenziali»;  33  «Interventi  di   ristrutturazione
edilizia  in  assenza  di  permesso  di   costruire   o   in   totale
difformita'»; 34 «Interventi eseguiti  in  parziale  difformita'  dal
permesso di costruire» e 37 «Interventi  eseguiti  in  assenza  o  in
difformita' dalla segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'  e
accertamento di conformita'» del d.P.R. n. 380/2001, che  come  noto,
configurano  l'esercizio  del  potere   comunale   di   vigilanza   e
repressione degli abusi edilizi  come  un  obbligo  e  non  come  una
facolta'.  E'  consolidato  il  principio  per  cui  laddove  vengano
accertate irregolarita' edilizie il dirigente comunale  e'  obbligato
ad adottare i provvedimenti repressivi e  sanzionatori,  non  essendo
necessario che ricorrano ragioni di pubblico interesse. Cio' per  una
precisa scelta del legislatore, che non ha  previsto  un  termine  di
decadenza o di prescrizione per l'esercizio dei poteri di repressione
degli abusi edilizi del comune e, al tempo stesso, ha previsto che le
sanzioni amministrative in materia, essendo  volte  essenzialmente  a
reintegrare l'interesse pubblico leso, non  possono  estinguersi  per
effetto del decorso del tempo. Il sistema sanzionatorio descritto nel
testo unico e' volto a garantire il primario interesse di tutela  del
territorio ed eccede dalla competenza legislativa  concorrente  della
Regione in materia di governo  del  territorio»  la  possibilita'  di
porre un limite all'esercizio di questo potere. Peraltro,  l'articolo
31 del testo unico prevede che, nel caso di  interventi  eseguiti  in
assenza di  permesso  di  costruire,  in  totale  difformita'  o  con
variazioni essenziali, laddove  il  proprietario  non  provveda  alla
demolizione o al  ripristino,  «il  bene  e  l'area  di  sedime  sono
acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale», e cio'  a
prescindere   da   ogni    accertamento    dell'interesse    pubblico
all'esercizio del sistema sanzionatorio. 
    Sulla base di un  accertamento  del  tutto  discrezionale  e  non
previsto  dalla  normativa  statale   «dell'interesse   pubblico   al
ripristino della  legalita'  urbanistica  violata»,  la  disposizione
regionale censurata non solo  non  prevede  ne'  la  demolizione  ne'
l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle  opere  abusive,
ma addirittura consente, al comma 7, che i  piani  operativi  possano
assoggettare dette consistenze a  specifica  disciplina,  consentendo
anche su  immobili  abusivi  «interventi  comportanti  demolizione  e
ricostruzione, mutamento della destinazione d'uso, aumento del numero
delle unita' immobiliari, incremento di superficie utile lorda  o  di
volume». 
    Per le opere o gli interventi edilizi realizzati anteriormente al
1° settembre 1967 fuori dai centri abitati, gli  interventi  previsti
dal  comma  7  sono  sempre  consentiti  e  l'esercizio  del   potere
repressivo previsto dagli articoli 196, 199, 200 e 206 della l.r.  n.
65/2014 non e' previsto in spregio  dei  principi  di  imparzialita',
uguaglianza e buon andamento. 
    Inoltre, vista la formulazione del comma 4  (secondo  cui  questi
interventi sono da considerarsi «consistenze legittime del  punto  di
vista  urbanistico-edilizio»)  per  detti  abusi  non   sembrerebbero
applicabili nemmeno le sanzioni penali e civili previste  dal  d.P.R.
n.  380/2001,  in  palese  invasione  della  competenza   legislativa
esclusiva statale nella materia «ordinamento civile e  penale»  (art.
117, comma 2, lettera l). 
    La previsione di cui al comma 7 si pone in  contrasto  anche  con
l'art. 5 commi 9 e 10 del d.l.  n.  70/2011,  che  non  consente  gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli ampliamenti  per  gli
edifici  abusivi,  con  esclusione  degli  interventi  per  cui   sia
rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. 
    La disposizione impugnata, pur affermando, al comma  3,  che  «la
corresponsione delle somme  di  cui  al  comma  2  non  determina  la
corresponsione dell'abuso», sembra introdurre una  surrettizia  forma
di condono, andando  cosi'  ad  invadere  la  competenza  legislativa
statale. La disposizione di cui al comma 3, sembrerebbe essere  volta
solo a fare salve le sanzioni penali (peraltro, come detto, solo  nel
caso di immobili realizzati nei centri abitati), ma  e'  chiaro  che,
nella sostanza, la norma consente di legittimare,  sotto  il  profilo
urbanistico   ed   edilizio,   interventi    abusivi,    sottraendoli
all'esercizio delle sanzioni amministrative previste  dagli  articoli
196, 199, 200 e 206 e consentendo ai piani operativi di  disciplinare
interventi  di  ampliamento  su  questi  immobili  (interventi   che,
peraltro, sembrerebbero ammessi anche in deroga dai  piani  operativi
nelle ipotesi previste dal comma 4). 
    Occorre ricordare che i condoni straordinari sono stati  previsti
dalla legislazione statale per gli abusi piu' risalenti,  proprio  al
fine di chiudere con il passato per instaurare un regime  di  maggior
rigore nei controlli e nelle sanzioni in materia edilizia  e  che  la
sanatoria  straordinaria  delle  opere  abusive  e'  sottratta   alla
potesta' legislativa regionale. 
    La Corte costituzionale, con  la  recente  sentenza  n.  225/2012
(punto  3  del  Considerato  in  diritto,  ha  chiarito  che:  «nella
disciplina del condono edilizio convergono la competenza  legislativa
esclusiva dello Stato in  materia  di  sanzionabilita'  penale  e  la
competenza legislativa concorrente in tema di governo del  territorio
di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 49 del 2006 e n.
70 del 2005)» e, soprattutto,  che  «e'  stata  ritenuta  di  stretta
interpretazione,  in  quanto  espressione   di   principio   generale
afferente ai limiti della sanatoria, l'individuazione da parte  della
legge dello Stato delle fattispecie ad essa assoggettabili,  di  modo
che le stesse non possono essere  comunque  ampliate  o  interpretate
estensivamente  dalla  legislazione  regionale.  Per  questo   motivo
risulta pienamente conforme  al  dettato  costituzionale  l'art.  32,
comma 27,  del  d.l.  n.  269  del  2003,  contenente  la  previsione
tassativa delle tipologie di opere insuscettibili  di  sanatoria,  la
quale determina, in pratica, i  limiti  del  condono,  entro  il  cui
invalicabile  perimetro  puo'  esercitarsi  la  discrezionalita'  del
legislatore regionale» (sentenza n. 70 del 2005). 
    Sul punto, si veda anche la sentenza  n.  290/2009,  secondo  cui
«Questa Corte ha gia'  riconosciuto  che  "solo  alla  legge  statale
compete l'individuazione della portata massima del  condono  edilizio
straordinario" (sentenza n. 70 del 2005: sentenza n. 196  del  2004),
sicche' la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti
applicativi della sanatoria eccede la  competenza  concorrente  della
Regione in tema di governo del territorio». 
    La Regione Toscana, con  la  previsione  impugnata,  travalica  i
limiti  indicati  dalla  Corte  costituzionale,  in  quanto  il  mero
riferimento  all'interesse  pubblico  al  ripristino  alla  legalita'
urbanistica violata consente al  comune,  per  gli  immobili  abusivi
realizzati  prima  del  1967,  di  disporre  effetti  sostanzialmente
analoghi  a  quelli  di  un  condono,  che   consistono   nella   non
applicazione  delle  sanzioni  amministrative  della  demolizione   e
dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale, anche  al  di  la'
dei casi che  la  legge  statale  aveva  individuato  per  i  condoni
straordinari (il cui  termine,  peraltro,  e'  ormai  inevitabilmente
chiuso).  Conclusivamente,  la  disposizione   regionale   censurata,
ponendosi in contrasto con i principi  fondamentali  dello  Stato  in
materia di governo del territorio contenuti nel  d.P.R.  n.  380/2001
sopra richiamati, con le norme contenute nel d.l. n. 70/2011 in  tema
di interventi in deroga, con le disposizioni in materia  di  sanzioni
civili e penali previste dal suddetto d.P.R. n. 380/2001 in  tema  di
reati edilizi, viola l'art. 117, comma 2, lett. s)  e  117,  comma  3
della Costituzione. 
    2.2)  Considerazioni  analoghe  a  quelle  formulate   al   punto
precedente, con riferimento all'articolo 207 della legge regionale n.
65/2014, valgono anche per l'articolo 208  della  stessa  legge,  che
ripropone disposizioni  analoghe  per  opere  ed  interventi  edilizi
abusivi anteriori al 17 marzo 1985, soltanto che, a differenza  della
norma precedente, in questo caso non e' fatta alcuna distinzione  tra
le opere eseguite all'interno o all'esterno del perimetro dei  centri
abitati. 
    Pertanto  la  disposizione  regionale  censurata,  ponendosi   in
contrasto con i principi  fondamentali  dello  Stato  in  materia  di
governo  del  territorio  contenuti  nel  d.P.R.  n.  380/2001  sopra
richiamati, con le norme contenute nel d.l. n.  70/2011  in  tema  di
interventi in deroga, con le  disposizioni  in  materia  di  sanzioni
civili e penali previste dal suddetto d.P.R. n. 380/2001 in  tema  di
reati edilizi, viola l'art. 117, comma 2, lett. s)  e  117,  comma  3
della Costituzione.